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In lode di mia sorella

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Mia sorella non scrive poesie,

né penso che si metterà a scrivere poesie.

Ha preso dalla madre, che non scriveva poesie,

e dal padre, che anche lui non scriveva poesie.

Sotto il tetto di mia sorella mi sento sicura:

suo marito mai e poi mai scriverebbe poesie.

E anche se tutto ciò suona ripetitivo come una litania,

nessuno dei miei parenti scrive poesie.

 

Nei suoi cassetti non ci sono vecchie poesie,

né ce n’è di recenti nella sua borsetta.

E quando mia sorella mi invita a pranzo,

so che non ha intenzione di leggermi poesie.

Fa minestre squisite senza secondi fini,

e il suo caffé non si rovescia su manoscritti.

 

In molte famiglie nessuno scrive poesie,

ma se accade – è raro che sia uno solo.

A volte la poesia scende a cascate per generazioni,

creando gorghi pericolosi nel mutuo sentire.

 

Mia sorella pratica una discreta prosa orale,

e tutta la sua opera scritta consiste in cartoline

il cui testo promette la stessa cosa ogni anno:

che al ritorno dalle vacanze

tutto quanto

tutto

racconterà.


– Wisława Szymborska

 

 

Wisława Szymborska (1923-2012)

Premio Nobel per la letteratura, 1996

Pochwała siostry (In lode di mia sorella)

da Wielka liczba (Grande numero), 1976

traduzione e cura di Pietro Marchesani

in Opere, Milano: Adelphi, 2008

 

Nell’immagine d’apertura: Abbott Handerson Thayer, The Sisters, olio su tela, 1884. Brooklyn Museum.

 

Le poesie di Wisława Szymborska mi parlano con la stessa fluidità di un discorso pensato in italiano, come se non ci fosse di mezzo una traduzione. Non conosco il polacco, lo reputo e sento distantissimo dalle lingue romanze, e perciò il suono familiare dei versi di Szymborska continua a stupirmi. Pietro Marchesani, che alla poetessa di Cracovia ha dedicato una vita, ha di sicuro un merito grandissimo, giacché non riesco a immaginare un ponte transletterario piú felice del suo; ma mi viene da pensare che in tutte le lingue del mondo, almeno di quello occidentale, le poesie di Wisława Szymborska avrebbero un suono familiare, perché la sua parola è, o sembra, una parola di tutti i giorni, ironica ma immune da qualsiasi esibizione di poeticismo.

 

P.B.

 

 

 


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