Marketing e pubblicità
Bibita per una nazione. Agli albori della comunicazione integrata.
(di Pasquale Barbella. Estratto da “La comunicazione d’azienda. Strutture e strumenti per la gestione”, a cura di Umberto Collesei e Vittorio Ravà, Isedi/Utet, Torino 2004).
Marchio, 2007. |
Spesso, quando si accenna alla creatività, il pensiero vola ai mass media: la televisione, la stampa, la radio, la pubblicità esterna, il cinema. In realtà il paesaggio pubblicitario è di gran lunga più vasto e più vario: basti pensare a tutto ciò che è esposto, oltre alla merce (la cui confezione, peraltro, è già un messaggio pubblicitariamente costruito), in un qualsiasi punto vendita. O alle complesse operazioni di marketing postale. O alla sponsorizzazione di programmi ed eventi. O alle iniziative promozionali di qualsiasi tipo. O al merchandising e alla sua oggettistica. O ancora, in tempi più recenti, a quel gigantesco contenitore di comunicazione elettronica che va sotto il nome di internet.
Infiniti sono i canali di cui l’impresa dispone per far giungere la sua voce all’interno e all’esterno di sé stessa. Ciascuno degli strumenti utilizzati necessita di eccellenti idee, e tutte le azioni devono concorrere verso il medesimo traguardo: costruire una comunicazione univoca, coerente ed efficace sulla marca, la sua personalità e la sua offerta.
Sebbene la comunicazione integrata sia stata teorizzata con l’attenzione che merita solo in epoca recente, ha trovato – in alcune aziende – precoci e versatili precursori. Impressionante, utile da indagare e molto ben documentato, è per esempio l’insieme delle attività di comunicazione espresse dalla Coca-Cola Company fin dai suoi esordi.
A partire dalla fine dell’Ottocento, la Coca-Cola comincia a edificare il suo monumentale programma di architettura della marca con brillanti ed efficaci innovazioni creative nella formulazione del prodotto, negli imballaggi, nella distribuzione e nella comunicazione. Stupiscono ancora oggi la varietà, la complessità e il coordinamento degli strumenti adottati da questa marca non a caso diventata così potente.
Fin dalle origini, l’azienda affida con sicurezza il proprio destino alla pubblicità con investimenti massicci, di gran lunga superiori a quelli giustificabili dall’effettivo giro d’affari. Nella relazione di bilancio del 1892, il presidente della Coca-Cola Company comunica agli azionisti: «Abbiamo fatto notevoli investimenti pubblicitari sul territorio che non hanno dato ancora alcun ritorno. Abbiamo motivo di credere che i risultati arriveranno nel corso dell’anno seguente. Nelle aree sviluppate prima della costituzione societaria, si è registrato un considerevole incremento di affari rispetto agli anni precedenti.»
Il lavoro sul marchio, sul packaging, sulla corporate identity[1]è stato ovviamente incessante negli oltre cent’anni di vita della Coca-Cola; ma elementi dello stile iniziale persistono tuttora, a conferma d’un approccio rigoroso alla consistency: una grande marca deve sapersi evolvere senza mai entrare in contraddizione con sé stessa.
Già negli ultimi dieci anni dell’Ottocento la Coca-Cola affida gran parte della sua pubblicità a un’agenzia professionale, la Wolf & Company di Filadelfia. Una seconda agenzia, la Massengale, si occupa delle campagne stampa nei primi anni del Novecento.
In quegli anni di espansione della marca – partita da un drugstore di Atlanta, in Georgia, per affrontare tappa dopo tappa il mercato degli Stati Uniti – l’azienda concepì avanzate modalità di comunicazione al trade, di merchandising, di pubblicità al punto vendita e di direct marketing. Compaiono nel 1891 le prime trade cards, cartoline illustrate destinate ai potenziali dettaglianti, con immagini pubblicitarie sul fronte e dati di vendita sul retro. Ai grossisti si forniscono adeguati materiali di presentazione e i primi gadget. Nel 1895, una campagna di pubblicità diretta (invio di una lettera informativa e persuasiva con allegato un coupon per l’invito gratuito alla prova) viene indirizzata a una mailing list di potenziali consumatori. Nomi e indirizzi sono forniti all’azienda dagli esercenti locali, dotati di soda fountains (inizialmente la Coca-Cola era disponibile solo miscelata e servita alla spina; il prodotto vero e proprio era uno sciroppo da allungare col seltz). Si configurava in questo modo il principio e la pratica della cosiddetta local advertising coordinata dai quartieri generali dell’impresa – un modo di procedere che molte imprese, anche importanti, hanno adottato con decenni di ritardo.
Cucchiai per mescolare lo sciroppo con il seltz, segnalibri in celluloide, orologi a pendolo, vassoi metallici illustrati, insegne, ventagli in carta di riso, calendari e altri oggetti, tutti marchiati Coca-Cola, affollano, ancor prima del Novecento, un campionario di materiali promozionali e di arredi al punto vendita che ha scatenato la caccia al collezionismo. Dal punto di vista strategico e creativo è interessante notare il coordinamento – l’integrazione – fra tutti questi elementi. Il primo testimonial della marca, l’artista di varietà Hilda Clark, figura su vassoi, insegne di cartone e calendari fra il 1900 e il 1901.
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Calendario 1901 con Hilda Clark. |
Coca-Cola marchia e distribuisce apribottiglie, specchietti, borsellini di cuoio, cinturini, coltellini tascabili, portafogli, scatole di fiammiferi, matite, fazzoletti di carta per “saltare addosso”, letteralmente, al suo consumer. Riveste i punti vendita dal soffitto al pavimento con Coca-Cola girls, lampadari in vetro piombato, lampade a forma di bottiglia, sagomati ad altezza d’uomo, mixer automatici e, negli anni venti, tostapane elettrici che addirittura imprimono il marchio sui sandwich.
Comincia a usare i periodici nazionali nel 1904, dopo esperienze locali sulla stampa specializzata e i bollettini parrocchiali. Nel 1906 affida a William C. D’Arcy, fondatore della D’Arcy Advertising Company, la gestione della pubblicità sui quotidiani, sulla stampa di categoria e sui mezzi di pubblico trasporto. In capo a quattro anni, D’Arcy arriva a gestire il 25% del budget complessivo stanziato dall’azienda per la comunicazione.[2]Fu la D’Arcy a creare la famosa campagna Whenever you see an arrow, think of Coca-Cola (1909): «Ovunque tu veda una freccia, ricordati di Coca-Cola.»
Nel 1906 l’azienda comunica ai dettaglianti: «Stiamo facendo la pubblicità più bella e più artistica che si sia mai vista in questo paese o altrove. Stiamo investendo migliaia di dollari per dire alla gente di venire nel vostro negozio per la Coca-Cola.» Nel 1907 usa la propria carta intestata come veicolo di comunicazione istituzionale: la testata riproduce l’illustrazione della sede di Atlanta e delle prime filiali – Chicago, Filadelfia, Dallas, Los Angeles, Toronto, l’Avana.
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Poster, 1948. |
Una voce non trascurabile, in ogni programma di immagine coordinata che si rispetti, è costituita dalla gestione della visibilità di marca nelle fiere e nelle esposizioni. Nel 1909, lo stand Coca-Cola vince il primo premio alla fiera del New Jersey. L’allestimento simula il banco di un bar interamente abbigliato con oggetti promozionali: insegne, vassoi, locandine, sagomati, bottiglie, apribottiglie, bicchieri, dispenser, ventilatori, termometri… Marchi e inviti Drink Coca-Cola ricoprono ogni centimetro di superficie disponibile. La personalizzazione integrale del bar è tuttora un obiettivo che l’azienda persegue in ogni parte del mondo; il colore istituzionale (rosso) si presta a rendere ancora più accesa e aggressiva la presenza della marca nei punti di ristoro.
La creatività Coca-Cola invade l’American way of life ovunque si manifesti, e talvolta anticipa temi sociali – sia pure con leggerezza di tocco. Nel 1910 per esempio, allorché compare in pubblicità la prima versione del prodotto in bottiglia, il tema visivo della campagna (ovviamente integrata) è una donna emancipata al volante di un’automobile.
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Evoluzione della bottiglia dalle origini al 1957. |
La bottiglia scanalata Contour, disegnata dalla Root Glass Company, fa la sua prima comparsa nel 1916. Un felice e creativo esempio di design, motivato dalla necessità di distinguersi dalle infinite imitazioni[3]e dall’intenzione di creare il servizio aggiuntivo di una estrema maneggevolezza.
Sempre di più la Coca-Cola si identifica con la nazione. Attivissima in entrambe le guerre mondiali, produce comunicazione in linea con la storia. Nel 1918, su un cartello tramviario, una mano femminile solleva un bicchiere di Coca-Cola; l’ombra proiettata sul fondo rivela la mano della Statua della Libertà che inalbera la famosa torcia. Siamo nel pieno della Grande Guerra; lo zucchero è razionato e la Coca-Cola è costretta a ridurre drasticamente la produzione. L’azienda usa la comunicazione per lanciare un messaggio a mezza strada tra il patriottico e l’interessato: «Lo zucchero è un bene essenziale in tempo di guerra… Usatelo con parsimonia! A proposito delle restrizioni cui è soggetta la nostra produzione: Abbiamo compiuto il nostro sacrificio per la guerra, e continuiamo ad attenerci scrupolosamente alle prescrizioni della Food Administration. Per voi, accettare un sostituto della Coca-Cola è come vanificare il programma governativo sul risparmio dello zucchero.»
Poster, 1942. |
Nel 1923 siamo già in presenza di una global brand: nasce la Coca-Cola Export Corporation. Nel 1929 ci sono imbottigliatori di Coca-Cola in 29 paesi. Il crollo di Wall Street e la conseguente Depressione colpiscono duramente l’America e il resto del mondo, ma non intaccano l’industria della consolazione:[4]negli States si salvano, guarda caso, quella fabbrica di sogni chiamata Hollywood e quel bene quotidiano, rassicurante e a buon mercato chiamato Coca-Cola. Dal mondo del cinema decine di star partecipano come testimoni alla pubblicità Coca-Cola: da Joan Crawford a Clark Gable, da Cary Grant a Jean Harlow.
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Vassoio 1934 con Jane e Tarzan (Margaret O’Sullivan e Johnny Weissmuller). |
La marca si inserisce nei palinsesti radiofonici con le sue sponsorizzazioni (la prima, per il radiodramma Vivian, risale al 1927), nella scuola (kit di materiali di cancelleria agli scolari degli anni trenta, in omaggio con l’acquisto di una bottiglia), nell’immaginario collettivo del mondo intero con Babbo Natale. È del 1931 la prima apparizione del Santa Claus disegnato da Haddon Sundblom, presenza che diventerà una costante natalizia nella pubblicità Coca-Cola e nel comune patrimonio culturale. I più dotati illustratori degli anni trenta, quaranta e cinquanta prestano la propria opera alla marca, compreso lo straordinario Norman Rockwell (autore, tra l’altro, di calendari Coca-Cola destinati ai Boy scouts).
La comunicazione integrata a livello locale, sperimentata con successo fin dal 1895, giunge al massimo sviluppo negli anni trenta. L’azienda fornisce agli imbottigliatori materiali standardizzati di comunicazione – listini prezzi, opuscoli ecc. – garantendosi in questo modo la coerenza fra tutte le fonti di informazione relative alla marca.
Durante la seconda guerra mondiale la Coca-Cola segue fisicamente le truppe americane sui vari fronti in cui sono impegnate, costruendo 64 impianti in altrettanti punti caldi del pianeta. Dappertutto – advertising, calendari, opuscoli – si vedono soldati e soldatesse con la bottiglia in mano. Ai soldati è garantito un costante approvvigionamento di Coca-Cola e vengono forniti kit (ovviamente marchiati Coca-Cola) per passatempi e conforti d’ogni genere – tombole, domino, freccette, ping pong, etc. Un set di carte da gioco illustra – anziché le canoniche figure – i modelli degli aerei nemici, per renderne più facile l’identificazione.
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Carte da gioco per soldati in guerra, 1943. |
Nel secondo dopoguerra Coca-Cola entra nell’era della televisione con la sponsorizzazione di uno special dedicato alla Festa del Ringraziamento. Le iniziative promozionali e culturali associate al mondo dello spettacolo (musica, cartoons di Walt Disney ecc.), dello sport, dell’automobile diventano sistematiche. Fin dall’inizio del secolo la marca si era distinta nella promozione musicale coeditando spartiti di canzoni originali con immagini pubblicitarie in copertina. Molto più tardi, nel 1971, una delle sue numerose canzoncine pubblicitarie, I’d Like to Teach the World to Sing, diventa un disco e vende oltre un milione di copie.
L’attitudine alla comunicazione a 360 gradi si aggiorna rapidamente al seguito degli sviluppi tecnologici. Nella refrigerazione, per esempio: dalle cassette di legno per contenere bottiglie in vaschette di ghiaccio ai complicati porta-campioni ghiacciati in dotazione alla forza vendite, fino ai minifrigoriferi portatili da picnic degli anni cinquanta e ai sofisticati distributori automatici che conosciamo. La prima lattina è del 1955, ed è inizialmente riservata al personale militare americano delle basi Nato. Trent’anni dopo la lattina vola nello spazio. Nel 1985 vengono prodotte duecento Space cans, molte delle quali partono in orbita sullo shuttle Challenger. La Coca-Cola diventa la prima bibita gassata bevuta da astronauti in missione nello spazio.
Ciò che è davvero istruttivo di questa case history è la volontà, perseguita con costanza e con ogni mezzo, di stabilire una relazione affettiva – profonda e duratura – con il proprio pubblico, avvicinato in tutte le circostanze della vita: dalla scuola alla guerra, dal tempo libero individuale alla grande festa familiare. Un esempio di comunicazione totale e avvolgente, che fonda gran parte dei suoi principi sulla coerenza.
P.B.
[1] Insieme delle manifestazioni visibili della marca: nome, marchio, logotipo, format grafico e tipografico, insegne, cancelleria, decorazione di mezzi di trasporto, editoria aziendale, ecc.
[2]Dopo cinquant’anni di collaborazione con la D’Arcy, la gestione della parte più cospicua degli investimenti Coca-Cola passò alla McCann-Erickson (1956).
[3]«Dobbiamo trovare una bottiglia che qualunque persona riconosca anche al buio. Una bottiglia unica al mondo.» Parole di Asa G. Candler, presidente di The Coca-Cola Company, in una riunione con tutti i collaboratori.
[4]Proprio quell’anno la Coca-Cola vara un claim sul quale insisterà per trent’anni: The pause that refreshes, «la pausa che ristora».