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Idolo infranto

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Videoteca - Un Carol Reed del 1948.

Il piccolo Bobby Henrey e Ralph Richardson in Idolo infranto.

Ci sono film che ho visto e rivisto più dell’album di famiglia, e che fanno parte del mio sguardo come se si trattasse di lenti a contatto. Il solito Casablanca, ovviamente, ma anche Gilda e Il terzo uomo. Quest’ultimo – più ancora di Citizen Kane– ha acceso il mio culto per Orson Welles: al punto che l’ho sempre considerato in tutto e per tutto opera sua, pur sapendo che il regista era Carol Reed, che lo sceneggiatore era Graham Greene e che il direttore della fotografia era Robert Krasker.

Di certo la presenza di Welles, così ambigua e magnetica, conferisce al film molta parte del suo fascino nero; né si può sottovalutare l’apporto di Anton Karas con la sua strana cetra, lo zither che suona il tema di Harry Lime – melliflua melodia da taverna viennese, innocua quanto può esserlo un’arma prima di essere utilizzata per spargere sangue.

L’ammirazione per Orson Welles, tuttavia, ha sempre un po’ smussato la mia equanimità di giudizio. Carol Reed aveva temperamento da vendere, e Il terzo uomoè proprio farina del suo sacco (oltre che di Graham Greene e di Robert Krasker): fu lui a insistere per avere Welles nel ruolo di Harry Lime, contro l’insistenza del produttore David O. Selznick favorevole a Robert Mitchum o Noël Coward; così come fu lui a scoprire e reclutare Anton Karas.

Il team Reed-Greene aveva sfornato un anno prima del Terzo uomo, nel 1948, un film meno leggendario ma non per questo trascurabile: Idolo infranto. Colpisce ancora oggi per almeno due motivi: la sottile linea di confine tra il bene e il male (tema molto caro a Graham Greene) e la strepitosa qualità estetica (il bianco e nero di Georges Périnal).

Greene era un grande esperto di doppia vita e doppia morale. Fu per metà romanziere e per metà agente segreto, e la sua opera riflette in pieno i temi e le contraddizioni della sua condizione. Una sua famosa dichiarazione — «Il ruolo dello scrittore è quello di suscitare nel lettore la simpatia verso personaggi che ufficialmente non hanno diritto alla simpatia» – si applica perfettamente ai protagonisti dei suoi romanzi, così come a quelli dei film che ne sono stati tratti o che ha provveduto personalmente a sceneggiare (inclusi Idolo infranto e Il terzo uomo).
Sonia Dresdel è la signora Baines in Idolo infranto. Il personaggio è così antipatico che quando muore lo spettatore esulta.

In Idolo infranto, l’indissolubile binomio innocenza-colpevolezza non tormenta solo gli adulti ma anche i bambini. Il protagonista è Philippe, nove anni (l’attore Bobby Henrey), figlio di un ambasciatore francese a Londra. I genitori sono spesso assenti e Philippe è affidato alle cure del maggiordomo Baines (Ralph Richardson) e dell’orribile moglie (Sonia Dresdel). Baines è diventato un idolo per il bambino: per farlo addormentare gli ha spesso raccontato di sé esperienze avventurose che più tardi si riveleranno del tutto immaginarie.

L’adorato maggiordomo ha una relazione extraconiugale con Julie (Michèle Morgan). Quando sua moglie lo scopre, scoppia un litigio furibondo tra i due coniugi e la donna muore accidentalmente, precipitando da un davanzale interno all’immenso atrio dell’ambasciata. A questo punto, Philippe aggiunge una tonnellata di bugie a quelle già prodotte da Baines e da Julie, nel tentativo disperato di salvare il suo idolo dalle grinfie della polizia. La cosa interessante è che il bambino, come la polizia, crede nella colpevolezza del maggiordomo – e lo ammira anche per aver fatto secca la moglie cattiva. Quando scopre non solo la sua innocenza, ma anche l’assoluta banalità della sua biografia, la delusione è totale.
Bobby Henrey.

Il film è un po’ datato, ma il suo fascino visivo rimane intatto. Indimenticabile l’atrio dell’ambasciata con l’immenso scalone ripreso da vari punti di vista, uno spazio che mette in evidenza la solitudine del bambino e gli eccessi della sua immaginazione. Il direttore della fotografia, il francese Georges Périnal, era stato uno dei collaboratori preferiti di René Clair prima di arruolarsi nella scuderia londinese del produttore Alexander Korda. Si era guadagnato un Oscar con Il ladro di Bagdad (1940) – film che indusse in me la passione per il cinema – e ne aveva sfiorato un altro con Le quattro piume (1939).

Nel cinema, l’intelligenza e la qualità della fotografia sono ingredienti di cui non sempre viene percepito appieno il valore. Non è solo una questione tecnica: ci sono film fotografati bene ma senza acume. Colpisce la fotografia quando concorre, con i suoi mezzi, a dare ulteriore risalto alla vicenda e ai significati voluti; quando suggerisce simboli e sfumature in accordo con la narrazione; quando la macchina da presa guarda e mostra non solo ciò che è necessario vedere, ma anche ciò che è necessario avvertire.

Anche Krasker, il cinematographer de Il terzo uomo, ha lasciato dietro di sé un portfolio notevole: dall’Enrico V di Laurence Olivier (1944) a Breve incontro di David Lean (1945), da Giulietta e Romeo di Renato Castellani (1954) a Senso di Luchino Visconti.

P.B.
Graham Greene.

Film basati su opere di Graham Greene


  1. Orient Express, regia di Paul Martin (1934), da Il treno d’Istanbul
  2. Il fuorilegge, regia di Frank Tuttle (1942), da Una pistola in vendita
  3. Il prigioniero del terrore, regia di Fritz Lang (1944), da Quinta colonna
  4. L’agente confidenziale, regia di Herman Shumlin (1945), da Missione confidenziale
  5. I contrabbandieri, regia di Bernard Knowles (1947), da The Man Within
  6. Brighton Rock, regia di John Boulting (1947), da La roccia di Brighton
  7. La croce di fuoco, regia di John Ford (1947), da Il potere e la gloria
  8. Idolo infranto, regia di Carol Reed (1948), da The Basement Room
  9. Il terzo uomo, regia di Carol Reed (1949), sceneggiatura originale
  10. L’incubo dei Mau Mau, regia di George More O’Farrell (1953), da Il nocciolo della questione
  11. La mano dello straniero, regia di Mario Soldati (1954), da The Stranger’s Hand
  12. La fine dell’avventura, regia di Edward Dmytryk (1955), da The End of the Affair
  13. Al di là del ponte, regia di Ken Annakin (1957), da Across the Bridge
  14. Scorciatoia per l’inferno, regia di James Cagney (1957), da Short-Cut to Hell
  15. Un americano tranquillo, regia di Joseph L. Mankiewicz (1958), da Un americano tranquillo
  16. Il nostro agente all’Avana, regia di Carol Reed, (1959), da Il nostro agente all’Avana
  17. Il capanno degli attrezzi, regia di Sandro Bolchi (1963), da Il capanno degli attrezzi
  18. I commedianti, regia di Peter Glenville (1967), da I commedianti
  19. In viaggio con la zia, regia di George Cukor (1972), da In viaggio con la zia
  20. England Made Me, regia di Peter Dufell (1973), da I naufraghi
  21. Il fattore umano, regia di Otto Preminger (1979), da Il fattore umano
  22. Il console onorario, regia di John Mackenzie (1983), da Il console onorario
  23. Dr. Fischer di Ginevra, regia di Michael Lindsay-Hogg (1983), da Il dottor Fischer a Ginevra, ovvero La cena delle bombe
  24. Fine di una storia, regia di Neil Jordan (1999), da Fine di una storia
  25. The Quiet American, regia di Phillip Noyce (2002), da Un americano tranquillo
  26. Brighton Rock, regia di Rowan Joffe (2010), da Brighton Rock

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