L’Italia è un paese caldo. Anzi: bollente.
Non sto parlando del clima. Ma della temperatura corporea dei suoi cittadini. Salvo eccezioni.
Sento il bisogno di un frigidaire. Così grande da ospitarci tutti.
Troppa vivacità in giro. Soprattutto dove non serve.
Sangre caliente nella corruzione.
Verbosità a 40° nel dibattito politico. Bollente o bollito, fa lo stesso.
Giornalismo vulcanico. Opinionismo ardente.
Energia troppo termo-berluscona. Anche termo-grillesca.
Voglio un paese più noioso.
Appassionato sì, ma non emotivo.
Pasolini sì, Travaglio no.
Rodotà sì, Santoro no.
Bobbio sì, urlatori no.
Vorrei che i titoli dei giornali fossero meno esuberanti dei titoli pubblicitari.
Vorrei addormentarmi sui titoli di “Le Monde”.
Vorrei dei social network meno antisocial.
Vorrei sbadigliare tra una chiacchiera e l’altra. Meglio ancora: tra un pensiero e l’altro.
Vorrei che l’immenso forno che ci cuoce sfornasse non solo insulti e imprecazioni, ma anche qualche idea.
A questo governo dalle calde intese preferisco il “Parsifal”. Ricordo quattro ore di coma alla Scala, ma anche – tra un calo di zuccheri e l’altro – qualche minuto di sana e gelida meditazione.
Vorrei che l’eccesso di calore si squagliasse in freddo pragmatismo, quando è necessario. Cioè quasi sempre.
Meno commozione. Meno incazzature. Meno violenza.
Meno domande alla vittima del tipo: “Come si sente, signora?”
Meno primi piani e più sfondo.
Vorrei che tutti leggessero libri voluminosi. L’elenco telefonico, ma va bene anche Proust.
Libri come “Ulysses” e “Finnegan’s Wake”. Impegnativi quanto basta per toglierci la voglia di litigare nelle riunioni di condominio.
Vacanze fuori stagione, nei luoghi più anonimi e meno pittoreschi del mondo. Lontani da ogni paradiso, fiscale e non.
Vorrei un paese senza mosche – al naso.
E dove il do-di-petto ceda il posto a una fredda determinazione. Quella di risolvere i problemi, anziché continuare a enumerarli. E a gridarne l'elenco al megafono, sudando.
Chiedo troppo?
Faccio una doccia fredda.