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Sweet home Sirmione

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Dream. Opera di Yoko Ono su una spiaggetta di Sirmione.


Di giorno, le pattuglie in sandali e bermuda sfidano il luglio più rovente degli ultimi 136 anni trascinandosi tra le ombre del borgo antico. Le cartilagini, le mucose e i respiri più scontrosi si dirigono di buonora alle Terme, per ricavare dallo zolfo, dal sodio, dal bromo e dallo iodio – profusi dalle acque incanalate dalla sorgente Boiola – il sollievo di cui hanno bisogno. Altri corpi in ebollizione prendono d’assedio le gelaterie che qui abbondano: penso che, a metterla insieme, la produzione giornaliera di gelato locale possa tranquillamente competere, in volume, con l’intero Castello Scaligero. I più bisognosi di fresco puntano senza indugi alle spiaggette disseminate tra il Castello e i canneti di Punta Staffalo. Le gambe stanche, o semplicemente curiose, montano a bordo del trenino elettrico che s’inerpica fino alle Grotte di Catullo, che non sono grotte ma resti di una sontuosa domus romana che si dice appartenuta al poeta.

In cerca di panchine si va nel parco, e il parco si chiama Callas come molti altri punti d’interesse della penisoletta, perché la Callas ha abitato qui. (Se fosse stata un tenore, nessuno si sarebbe mai sognato di chiamarlo il Callas). A perenne memoria di lei, smartphone e fotocamere non esitano a inquadrare il condominio giallo di sette appartamenti che un tempo costituirono la sua villa sul Garda, donatale non da Onassis ma dal primo marito, il re dei laterizi veronese Giovanni Battista Meneghini. Anche Bastianini, il baritono, ha abitato a Sirmione, trascorrendovi gli ultimi giorni della breve vita in una palazzina color avorio al n. 61 di via XXV Aprile, con vista sul lago. Nel 2007 si svolse qui una cerimonia celebrativa in sua memoria; a organizzarla non furono le autorità locali, ma il Centro studi Ettore Bastianini di Osaka.

New Babylon. Installazione di Dorothy Bhawl nel Parco Callas di Sirmione.

Nel parco Callas si ergono minacciose due installazioni d’arte contemporanea, parte di una rassegna intitolata CiboMente. Quella dell’artista bresciano Stefano Bombardieri, intitolata Energia a costo zero, è una trivella per l’estrazione del petrolio che propone in forma paradossale il ritrovamento dell’oro nero a Sirmione da parte di un colosso industriale cinese, la Rhino Petrol Company. Implicita ma trasparente la polemica contro lo strapotere – finanziario ed ecologicamente distruttivo – di vecchi e nuovi manipolatori globali. Bresciano anche l’artista e fotografo che si fa chiamare Dorothy Bhawl, autore di New Babylon: un truce pannello sul quale campeggiano slogan cattivissimi («World is the will to power», «Brain drain») e maialesche rappresentazioni fotografiche delle perversioni d’una civiltà intorpidita dal lavaggio dei cervelli.

Più etereo e decisamente minimale il contributo di Yoko Ono, fotografatissimo dai turisti: un grande pannello bianco in riva al lago, con la parola DREAM stampata in cubitali maiuscole nere. Ciascuno è libero di immaginarsi quello che vuole, compresi i messaggi sbandierati dalle altre installazioni.

Sirmione, 11 luglio 2015. Vittorio Storaro all’inaugurazione della mostra Scrivere con la luce. Doppie impressioni tra fotografia e cinematografia.

In piazza Carducci, nel Palazzo Callas situato proprio di fronte allo storico Caffè Grande Italia, c’è Scrivere con la luce, una mostra di Vittorio Storaro. Il cinematographer di Apocalypse now e Il conformista, in partenza per New York dove lo aspetta Woody Allen per la realizzazione di un film tutto in digitale ambientato negli anni trenta, espone inquadrature sovrapposte tratte dalla sua sontuosa filmografia. Nella conferenza inaugurale, Storaro ha parlato dell’influenza della grande pittura italiana sulla sua concezione estetica (Caravaggio docet) e della simbologia – tra l’onirico e il filosofico – che ispira la sua scelta delle dominanti cromatiche: ce n’è una diversa per ogni età de L’ultimo imperatore.

Vittorio Storaro: immagine composita da L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci (particolare).

Agita et rota

Sirmione non è né Venezia né Kassel: non ci si va né per la Biennale né per Documenta. Ma sfodera, come altre località turistiche, piccole e medie occasioni culturali che contribuiscono in modo efficace alla divulgazione e all’ingentilimento di frotte di visitatori italiani e stranieri. Si può sempre essere impressionati da qualcosa, girando per il borgo: non solo dai monumentali gelati, dagli ulivi secolari, dal profumo di Lugana e dalle attrazioni storiche, ma anche dall’intraprendenza degli operatori turistici e delle istituzioni locali.

Sirmione, luglio 2015. Concerto di Titti Castrini e la sua band in piazza Flaminia.

Di sera, dopo cena, si va a caccia di musica. C’è una romantica piazzetta sul lago, intitolata ai Catari per risarcire (si fa per dire) un’intera comunità di eretici rifugiatasi a Sirmione e arrostita in un rogo collettivo nell’Arena di Verona, nel 1279. Qui vengono a esibirsi, da qualche anno, scolaresche britanniche organizzate in gruppi corali o orchestrali, più spesso in torrenziali big band i cui membri, talvolta, superano di numero gli spettatori. Nelle cosiddette “notti bianche” – che di notturno hanno solo il nome dostoevskijano: i residenti del centro storico non tollerano clamori dopo mezzanotte – le street band del Garda furoreggiano in tutti gli slarghi disponibili. Così può capitare di imbattersi in artisti di limitata notorietà ma di sicuro piglio spettacolare come Titti Castrini, Alan Farrington, Olivia Thissen e altri che, da soli, potrebbero formare il cast di una Woodstock o di una Newport quasi all’altezza degli originali. Ci sono bluesman elettrizzanti come quello, di cui ignoro purtroppo il nome, che rifà il repertorio del Delta leccando le corde della chitarra con la lingua e azzannandole con i denti. E percussionisti dalle mani d’acciaio come il barbuto che ho sentito picchiare, cantare e reinventare genialmente – in trio con chitarra e violoncello, e in altra occasione con chitarra e violino – folk regionale e mediterraneo: mirabili e tarantolate le cover di Cicerenella e Tammurriata nera.

Sirmione, luglio 2015. Alan Farrington live in piazza Carducci.

Alan Farrington è un inglese che più italiano non si può, irresistibile vocalista e showman che spazia dal jazz al rhythm and blues coadiuvato da un eccellente manipolo di attaccanti: Roberto Soggetti alle tastiere, Marco Cocconi al contrabbasso, Riccardo Biancoli alla batteria e un chitarrista non identificato. Con i primi tre, Farrington forma il No Smoking Quartet, ma ciascuno dei membri fa parte anche di altre formazioni attive nell’area. Che Alan non fumi né sigari né whisky sembra improbabile, a giudicare dalla verve che ostenta nel suo show improntato al più sfrontato maledettismo bohémien: è come se Chuck Berry, Charles Bukowski e Screamin’ Jay Hawkins si fossero reincarnati nella stessa persona.

Sirmione, luglio 2015. Concerto di Alan Farrington e del No Smoking Quartet in piazza Carducci. 
Nella foto: il tastierista Roberto Soggetti e il contrabbassista Marco Cocconi.

Titti Castrini, che ha suonato anche con Vinicio Capossela e indossa come lui un eterno cappello, è popolare tra il Mantovano, il Garda e dintorni. Canta e suona la fisarmonica a bottoni, folgorato nell’infanzia dal più grande fisarmonicista jazz che l’Italia abbia mai avuto, Gorni Kramer. Compone anche canzoni in proprio: il suo ultimo album è intitolato La ballata degli amici sparsi. Ha eccitato con una delle sue band gli ospiti dei bar, alberghi e ristoranti che si affacciano su piazza Flaminia, dove io sto quasi di casa perché sono un habitué dell’Hotel Catullo. Con lui si esibivano un sulfureo e stralunato violinista a piedi scalzi, Daniele Richiedei, e altri complici di prim’ordine. Hanno concluso il concerto con una tragicomica, sfilacciata e strepitosa versione di Vecchio frac, in omaggio a Domenico Modugno.
Titti Castrini in piazza Flaminia.

Olivia Thissen non ha bisogno di inventarsi un nome d’arte, perché il suo è già da riflettori. Bionda di soave dolcezza quando sta ferma, si trasforma in navigata belva da Grammy Award quando spara Sweet home Chicago o Message in a bottle. La assecondano con brio tre surriscaldati martelli umani (ma esili come chiodi) a colpi di chitarra, basso e batteria. Bombardamento di cover fulminanti, con tributi agli AC/DC, a Lady Gaga e a tutto ciò che ci sta in mezzo. A pochi metri di distanza, la faccia di bronzo di Catullo tende l’orecchio e forse medita di annegare Lesbia nel Benaco retrostante e fare un po’ di casino nella sua villa romana con l’agita et rota (rock and roll) di Olivia e la sua gang.

A sentire cosa si suona nelle piazze, Sirmione sembra meno callasiana di come si dichiara. Ma c’è posto anche per la lirica, e il livello è altissimo. Sara Mingardo, famoso contralto veneziano che i Grammy li ha vinti davvero (e non solo quelli), ha diretto un corso di canto nell’ambito del Garda Lake international music master e ha presentato una rosa di notevoli allieve in una serata all’Arena Callas, spazio per spettacoli estivi allestito nel Parco Callas. La canadese Orla Brundrett, giovanissima interprete di Se tu m’ami (Pergolesi), si è aggiudicata una borsa di studio. Ji-youn Park, sudcoreana residente a Parigi, ha affrontato brillantemente una delle trappole più impervie del vocalismo barocco, Agitato da fiere tempeste dall’Oreste di Händel. Bravissime anche Lea Desandre, Isabel Lombana, Chiara Milini, Filomena Pericoli e Vinciane Soille alle prese con arie di Gounod, Mozart, Verdi, Rossini e Vivaldi. Chiusura magistrale con due pagine (Händel e Monteverdi) interpretate in modo sublime da Sara Mingardo.
Sirmione letteraria.

Giosuè e le lavandaie

Da Catullo in poi, Sirmione attira poeti, scrittori e artisti come il miele attira le mosche. Nella hall dell’Hotel Catullo potete trovare un volumetto, Sirmione in love, in cui il giornalista Roberto Denti passa in rassegna – con dovizia di amabili aneddoti – le celebrità che in ogni tempo hanno transitato nel «fiore de le penisole»[1] per lasciarvi un’impronta. Il lungo elenco comprende, tra gli altri, Arrigo Boito, Byron, gli onnipresenti Carducci e D’Annunzio, Simone de Beauvoir, Foscolo, Gide, Goethe, Hemingway, Ibsen, Joyce, Kafka, Lawrence, Thomas Mann, Pound, Rilke, Sanguineti, Sartre, Shelley, Stendhal.

«Esser beati è questo. Sciolti da cure / E all’attiva coscienza sottratti / Dopo lontane fatiche ritornare / Stremati al nostro Lare / Su un letto amato riposo pigliare». Traduzione di Guido Ceronetti (Einaudi, 1969) del carme di Catullo Paene insularum, Sirmio, insularumque, affrescato, con molti altri versi del poeta, sulle pareti dei corridoi dell’Hotel Catullo a Sirmione.

Dietro l’Hotel Catullo c’è un albergo più piccolo gestito oggi dalla stessa famiglia, il Pace. Nel 1920 vi soggiorna Ezra Pound, talmente su di giri che scrive di getto una lettera d’invito a James Joyce: «Non so quali possano essere i vostri impegni a Trieste o se abbiate la salute necessaria per il viaggio, ma vorrei trascorreste una settimana qui con me (“a mio carico”, come mio ospite, o comunque si dica). Il luogo vale il viaggio in treno. Avete la garanzia di Catullo e la mia.» Joyce accetta con entusiasmo. Fa il bagno al lido delle Bionde ed è costretto a ritornare in albergo nudo come un pesce, derubato degli abiti e delle scarpe. Si spera che un giorno, su eBay, qualcuno metta all’asta le sue mutande perdute.

Carducci imperversa all’ingresso dell’Hotel Villa Cortine.

Carducci ingombra il lago con la penna quasi quanto D’Annunzio lo ingombra col Vittoriale. Alcuni suoi versi sono scolpiti sui marmi esterni all’ingresso del Cortine, un cinque stelle in stile neoclassico che fu la villa del conte Kurt von Koseritz, ministro del Ducato germanico di Anhalt; nel 1859 ospitò il quartier generale di Napoleone III. Ma se lì fa sfoggio di metafore paesaggistiche («Baldo, paterno monte, protegge la bella da l’alto / co ’l sopraciglio torbido»)[2], altrove dedica una prosa – a dir poco paternalistica – alle lavandaie che sgobbano sulle zattere ancorate alle rive: «Per voi il Benaco, lavandaie, è un gran catino, e il cielo uno sciugatoio... Io vi guardo, serie, silenziose, solenni lavoratrici e penso.» Anche lui, dice il pensatore, risciacqua: non panni ma idee vecchie e nuove, e gli «riescono dalle mani a ogni insaponatura più torbe e chiazzate di prima.»

© P.B.











[1]Da una delle Nuove odi barbare(Zanichelli, 1882) di Giosuè Carducci: «Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride, / fiore de le penisole.»
[2]Ibidem.

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